24 Settembre 2020 marketing strategico
Su quale futuro investire? Provate a immaginare
L’impatto potenziale della crisi in atto scatenata dal Covid-19 non è ancora affatto chiaro. Figurarsi quanta chiarezza può esserci sul come affrontarne le conseguenze.
Per primi i governi e le istituzioni internazionali appaiono ancora visibilmente in difficoltà nell’individuare e mettere in campo interventi efficaci per contrastare questa crisi.
Una crisi di portata talmente ampia, a livello sanitario quanto economico, che non se ne vedevano dalla Seconda Guerra Mondiale.
Impresa eroica quindi quella dei governi e istituzioni attuali. Ma c’è di buono che non sono partiti proprio da zero. Le crisi passate sono sempre una valida guida (almeno in parte) per affrontare quelle nuove. Inclusa questa.
Sia che si tratti di crisi finanziarie, di crisi ambientali, o ancora di precedenti epidemie, gli interventi degli “avi” governi rappresentano comunque delle solide basi per i posteri.
Ottimi punti di riferimento per costruire dei benchmark che possano indirizzare i governanti attuali sulla scelta delle aree di intervento e degli strumenti da mettere in campo.
Perché se è certamente vero che ogni crisi è diversa dalle altre, ieri come oggi alcune regole del gioco restano sempre valide:
- Si deve sostenere l’occupazione, per evitare il collasso della domanda;
- Si devono assistere le classi più vulnerabili, per evitare rivolte sociali;
- Si devono rafforzare gli investimenti strutturali, per rendere più accessibili i servizi critici.
Questi interventi sono un po’ gli evergreen degli interventi di politica economica, quello che nelle scienze economiche e sociali rientra più in generale nel c.d. Welfare.
Sono interventi volti ad assistere e sostenere i cittadini. Le persone. E indirettamente ad alleggerire le imprese (pensiamo alla Cassa Integrazione).
Perché la prima preoccupazione, qualunque sia la crisi che ci si trova ad affrontare, è rivolta alla tutela della salute e del benessere dei cittadini.
E così è stato anche per la crisi che stiamo vivendo. Con l’aggravante che quella attuale è una crisi pandemica.
Un virus che ha infettato prima le persone e poi l’economia.
E superata quella che pare sia stata la fase più “acuta” dei contagi e decessi, è questa ora la preoccupazione che attanaglia governi, cittadini e imprese, ovviamente. L’Economia.
Scienza relativamente giovane e magnificamente complessa, quella dell’economia moderna.
Una scienza che non vive da sola, ma che si espande e si fonde con le scienze sociali così come con quelle matematiche e statistiche. In continua evoluzione e espansione, permea, si può dire, ogni aspetto della vita quotidiana di noi tutti.
E agli imprenditori, anime buone del nostro paese, spetta l’onere e l’onore di brandire e far funzionare questa scienza e i suoi dogmi all’intero delle proprie realtà produttive e di business.
Servirebbe una sfera di cristallo oggi agli imprenditori.
Perché diversamente dai decisori politici, gli imprenditori non possono guardare al passato quando ragionano in termini di interventi e investimenti.
Semmai guardano al consuntivo (anche se oggi ne farebbero a meno in molti).
Il loro sguardo è sempre volto al futuro.
Quel futuro nel quale proiettano le loro scelte di investimento, tutt’intenti a capire come assicurarsi che quel benedetto ROI continui a essere positivo anche nel futuro prossimo.
Ma quale futuro?
Ecco il punto. Non abbiamo più certezze su quale possa essere il futuro. Quali cambiamenti che stiamo vivendo saranno temporanei, quali permanenti?
Nella fisica, se si tira un elastico, si può star certi che allentata la tensione l’elastico tornerà nella posizione iniziale. In economia invece non funziona proprio così.
Si definisce nelle scienze economiche “isteresi” quel fenomeno per il quale un evento che si manifesta oggi condiziona il percorso economico del futuro.
Il Covid-19 ha certamente prodotto effetti di isteresi. Ma in che modo? Alcuni dei danni prodotti da questa crisi saranno reversibili. Altri no, nel bene e nel male.
Molti settori e attività sono stati duramente colpiti da questa crisi.
Pensiamo in primo luogo al settore del turismo o a quello dei trasporti, che per la loro natura, durante la fase del lockdown e delle restrizioni agli spostamenti, hanno dovuto chiudere i battenti per mesi.
Alle compagnie aeree di tutto il mondo, questa crisi sta constando debiti cumulati che sono arrivati a toccare – secondo alcune stime – i 550 miliardi di dollari (somma equivalente al 92% del fatturato del settore).
Ma queste flessioni, seppur spaventose, sappiamo che in buona parte saranno gradualmente riassorbite quando si tornerà a viaggiare. Perché torneremo a viaggiare, questo è certo.
Per altri settori invece le prospettive sono molto meno limpide.
Pensiamo al settore della Moda e dei punti vendita al dettaglio. Questa crisi è stata una ecatombe, con previsioni di chiusura, solo nel nostro paese, di 17 mila punti vendita.
Crisi che in questo settore non si comprende ancora bene quanto possa essere reversibile. Forse non molto. Perché a remare contro ci si mette anche il settore dell’e-Commerce, che galoppa.
Vuoi perché la pandemia ha fatto proliferare gli acquisti online; vuoi perché piace sempre più per la comodità, semplicità, convenienza in termini di prezzi e tempi risparmiati per concludere gli acquisti.
Certamente l’e-Commerce avrebbe dovuto soppiantare in buona parte i negozi fisici, in un futuro prossimo. Ma la pandemia ha accelerato il processo repentinamente, portando i negozi in sofferenza per molto, troppo tempo. E il loro futuro appare sempre più incerto.
Oltre alle incognite sulle ripercussioni che a livello settoriale questa crisi si porterà dietro, misteriosi restano soprattutto gli scenari della ripresa.
Quale sarà il percorso che seguirà la ripresa?
Ce lo siamo già detti: l’unica vera certezza che abbiamo, per ora, è l’incertezza.
Ci stiamo quasi abituando a ragionare Day-by-day, Step-by-step.
Necessità fa virtù. Con un virus che muta ogni trimestre, vaccini che ancora stentano ad arrivare, fondi e risorse dagli esiti sempre incerti.
Qualcosa però lo abbiamo capito in questi mesi. Di esperienza ne abbiamo fatta, sulla nostra stessa pelle. E non ci resta allora che provare a far fruttare questa esperienza traendone qualche utile indicazione.
Affrontiamo l’analisi con quella che è stata l’esperienza che ci ha toccato più da vicino e tutti: il distanziamento sociale.
Lockdown, limitazioni agli spostamenti, Smart working.
Per misure d’emergenza imposte prima e per scelta dopo, questi ultimi mesi abbiamo speso la maggior parte del nostro tempo immersi nell’altro mondo, quello virtuale e connesso, del quale abbiamo potuto constatare le infinite funzionalità e potenzialità.
Prima del Covid-19 per molti di noi il “Cloud” era noto, certo, ma relativamente poco interessante.
Una risorsa che ci sembrava per lo più distante dalla nostra vita privata e quotidiana, relegato a questioni più che altro lavorative.
Dopo aver trascorso giorni, settimane e mesi avvalendoci degli strumenti che il Cloud aveva da offrirci, attraverso il web, abbiamo scoperto invece che è uno spazio meraviglioso e immenso, una seconda casa, quella digitale, che accoglie le nostre foto, video, files, dati e quant’altro.
La fruizione dei contenuti online, accessibili proprio tramite applicativi in Cloud, ci ha permesso di tenere Videoconferenze, chattare, condividere i nostri scatti e pensieri sui Social, accedere a film e musica interamente in streaming.
Il Traffico online (che è stato l’unico “traffico” ammesso per mesi) si è impennato e appresso si sono create floride opportunità per quei player che attorno al Cloud hanno costruito la loro offerta di valore.
Solo per citare due piattaforme Cloud divenute colossi proprio in era Covid-19:
- pensiamo a Zoom;
- oppure a Tik Tok.
Ci siamo resi anche conto, sempre sulla nostra pelle, del crescente ruolo che lo stato, attraverso gli strumenti di politica economica, ha assunto nel sistema sociale e economico.
Strumenti di intervento che sono oramai indispensabili nelle moderne società e economie.
I governi hanno svolto il ruolo di assicuratore e investitore. I debiti pubblici sono lievitati per fronteggiare il fabbisogno finanziario delle società civili e dei sistemi economici.
L’inferenza della politica nell’economia è un fenomeno che sembra inarrestabile.
Perché se è pur vero che il Covid-19 ha colpito tutti, senza distinzioni e discriminazioni – i ricchi come i poveri – in quanto agli effetti che ha provocato, non è stato altrettanto equo.
Le disuguaglianze sociali aumentano sempre più, i divari diventano abissi. Le disparità tra chi possiede di più e chi possiede di meno si stanno acutizzando e assumono dimensioni tali da sembrare quasi irreversibili.
Ciò che è mio (e tuo) è nostro.
Cresce sempre più il bisogno di socialismo, condivisione, assistenza.
E se ci riflettiamo un secondo, il trend delle tecnologie che abbiamo citato poco fa, la ratio del Cloud e dei servizi digitali “open” abbracciano alla perfezione questi bisogni sociali emergenti.
Il Cloud ci consente di avere accesso ai contenuti e strumenti che ci servono, senza divenirne proprietari. E al pari la Sharing Economy ci permette di fruire di taluni beni senza possederli.
E se la Sharing Economy pre-crisi stava già vivendo un’età dell’oro (pensiamo ad aziende come Uber, Airbnb, Car2Go), nel futuro prossimo ci aspettiamo che questo fenomeno del “ciò che è mio (e tuo) è nostro” continuerà a espandersi sempre più, permeando nuovi aspetti della nostra vita.
Un crescente bisogno di condivisione quindi, di accesso più che di possesso, alimentato e sostenuto (non a caso) da tecnologie sempre più abilitanti, performanti e diffuse.
Il confine sempre più sottile tra società e social.
Il distanziamento sociale forzato ha di fatto prodotto una massa di contenuti digitali inverosimile.
Nel periodo del lockdown il traffico online è raddoppiato nel nostro paese, tanto che ci chiedevamo se le nostre infrastrutture avrebbe retto a quei volumi in costante aumento. Traffico che per lo più si è concentrato sulle piattaforme di social networking e messaggistica.
Contenuti che non sono più consumati, ma auto-prodotti. Questa crisi nei fatti ha accelerato quella rivoluzione del mondo digitale che vede le persone sempre più protagoniste dei contenuti che viaggiano sulla rete.
Produciamo video, immagini, articoli e pensieri. Li condividiamo in cambio di gratificazione, riconoscimento. Li scambiamo in cambio dei contenuti pubblicati da altri utenti.
Il nostro appetito di Social durante il Covid-19 è divenuto quasi insaziabile. Va da sé, dato che ci siamo ritrovati costretti in casa e abbiamo appagato la mancanza di contatti umani, informazioni e svago, con le piattaforme tech.
La metà degli umani presenti sul pianeta sono anche utenti social. Dati impressionanti.
Un potere, quello dei Social network, che riesce a orientare anche le nostre scelte di consumo e le nostre opinioni politiche.
I rappresentanti politici conducono oramai le loro campagne elettorali più su Twitter che in piazza.
I consumatori ascoltano più gli Influencer su Instagram che gli spot in televisione.
Cosa sarà normale…dopo? Tutti i fenomeni che abbiamo citato e che hanno fortemente caratterizzato il nostro tessuto economico e sociale durante questa crisi, non sono nati con il Covid-19.
A ben pensarci, l’effetto principale che abbiamo subito è stata in sostanza la loro repentina accelerazione. Ma questa crisi appunto non si è inventata gran ché.
È stato come osservare una curva di apprendimento che invece di seguire il suo trend naturale, di crescita graduale e costante, si è impennata al triplo della velocità.
Una crisi non innovativa di per sé quindi. Ma la diversa quotidianità e i cambiamenti nelle nostre abitudini che ci ha imposto di adottare, saranno con ogni probabilità permanenti.
Non è tempo di reagire, ma di reinventare.
Volenti o nolenti dobbiamo adattarci, non reagire, ai cambiamenti che sono stati prodotti da questa crisi. Ma questo necessario adattamento ci potrà garantire solo la sopravvivenza oggi, non domani.
Circostanze eccezionali richiedono interventi eccezionali. In politica così come in azienda.
Il futuro è talmente incerto, per tutti, che sono proprio le aziende a doverlo immagine e creare per i propri clienti.
Le aziende che avranno quel giusto “appetito” per il rischio e il coraggio di inventare e sviluppare nuovi beni e servizi, potranno letteralmente modellare i nuovi settori di domani.
Questo è il momento di imbrigliare quanta più leadership e forza creativa avete. I cittadini, i clienti, non hanno alcuna certezza sul futuro.
Oggi più che mai sono estremamente recettivi, pronti a farsi guidare da quelle imprese che sapranno avere una visione solida e innovativa del futuro. È la visione che muove e ispira le persone, promette un futuro.
Partendo dall’individuazione di quei fenomeni che si sono acuiti in questo periodo, dovremmo immaginare di condurre una sorta di analisi SEO, individuando quelle “keyword” che rappresentano i bisogni, desideri, abitudini della società post-covid.
Come da manuale di economia, una volta investigate queste keyword, dovremo immaginare un’offerta di valore che sappia intercettare queste esigenze espresse e insoddisfatte.
Oggi più che mai serve immaginazione. Le aziende devono essere Leader del futuro che sarà e che sarà tutto da creare.
In questa era digitale, pullulante di tecnologie innovative e accessibili, gli strumenti per immaginare il business del futuro che volete non mancano di certo.
Il Cloud ha reso possibile lo sviluppo di strumenti e tecnologie innovative dalle infinite potenzialità e applicazioni: Big Data, Intelligenza Artificiale, Realtà Aumentata, Blockchain, Robotica, Stampanti 3D…
Non cercate le soluzioni. Immaginatele.